1. Una persona affetta da Mutismo Selettivo rifiuta di parlare per scelta?
Al contrario di quanto riportato nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che ha abbandonato questa visione nella sua quarta versione (DSM-IV, American Psychiatric Association, 1994), la Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi di Salute Connessa, 10. revisione (ICD-10, OMS, 1996) definisce ancora il mutismo “elettivo” come un “disturbo caratterizzato da un rifiuto di parlare in certe situazioni determinate, legato a dei fattori emozionali. Il bambino è capace di parlare in certe situazioni, ma rifiuta di parlare in altre situazioni” (determinate, noi sottolineiamo).
- È importante rilevare che questa visione, a volte ancora veicolata, non è assolutamente più in linea con la ricerca contemporanea, dove gli autori sono concordi nel riconoscere il Mutismo Selettivo come un disturbo ansioso;
- è in totale contraddizione con le testimonianze delle persone affette da questo disturbo, che rimarcano spesso la loro voglia di parlare, ma che si dicono semplicemente incapaci di farlo (vedere ad esempio il nostro blog sul Mutismo Selettivo);
- è pericolosa, in quanto può indurre ad assumere comportamenti inappropriati da parte di coloro che sono più vicini al bambino e da parte di educatori/insegnanti, come sforzare il bambino a parlare o tentare di contrastare il suo rifiuto, e rischia di avviare degli interventi inadeguati da parte di specialisti.
2. Quale è la relazione tra il Mutismo Selettivo e la fobia scolare?
I bambini con Mutismo provano una paura innata e/o stato d’ansia se si trovano in situazioni in cui è richiesto l’inserimento in contesti sociali, come l’ambiente scolastico. Di conseguenza, può accadere che alcuni tentino di evitare di andare a scuola. Questo rifiuto può essere causa di sintomi fisici che accompagnano l’ansia, come mal di pancia, nausea, mal di testa. La paura di cadere nel ridicolo, il timore di fare errori, l’imbarazzo di cambiarsi negli spogliatoi per fare dello sport, ecc., costituiscono analoghe situazioni che possono suscitare la tentazione di restare a casa. Con il passare del tempo, se questi bambini non sono aiutati e sostenuti nell’affrontare e contrastare questo stato di disagio, la decisione di rimanere a casa da scuola o di evitare altri luoghi a carattere sociale, diventerà l’unico mezzo per alleggerire la loro ansia. Loro si rendono conto, in maniera conscia o meno, di sentirsi molto più calmi e a loro agio nella tranquillità della loro casa, dove non provano lo stress tipico dell’ambiente scolastico. Così accade che i genitori abbiano forti difficoltà a convincere il loro bambino a recarsi a scuola, come pure che possano essere loro stessi contrari a mandarlo a scuola, nel dubbio che possa davvero non star bene.
3. Un bambino affetto da Mutismo Selettivo è stato traumatizzato?
Alcuni autori, nel passato, hanno esposto l’ipotesi che il Mutismo Selettivo potesse essere correlato a gravi situazioni traumatiche, come abusi sessuali, maltrattamenti o da altri fattori più gravi (Launay et al., 1949; Von Misch, 1952). Anche se è vero che sono stati registrati casi proprio in relazione a tali cause, restano tuttavia casi isolati ed eccezionali: gli studi effettuati su larga scala non hanno assolutamente messo in evidenza dei fattori traumatici particolari nel passato dei bambini mutacici (Black et Uhde, 1995; Steinhausen et Juzi, 1996; Dummit, Klein et al., 1997), valutazione che ha portato Dummit a definire l’ipotesi del trauma come “la versione hollywoodiana del mutismo”!
Per approfondimenti: http://www.selectivemutismfoundation.org/myths
4. E se il mio bambino fosse solo timido?
Nei vari forum che hanno avuto modo di affrontare queste problematiche, è abbastanza frequente trovare persone che, pensando di far bene, cercano di rassicurare i genitori di bambini affetti da mutismo spiegando loro che “è normale essere timidi e che certamente passerà col tempo”. Il consiglio, per niente giudizioso, potrebbe rivelarsi controproducente. Numerosi studi, infatti, registrano come molto spesso trascorrono molti anni tra il sospetto del problema e il primo consulto medico (Aubry et Palacio-Espasa, 2003; Hayden, 1980; Kolvin et Fundudis, 1981; Krohn et al., 1992; Wergland, 1979; Wright, 1968; Wright et al., 1985). In particolare, nello studio condotto da Wright et al. (1985) vengono analizzati 81 casi, in cui l’età media per l’insorgenza del disturbo (o per il sospetto di un problema) è di 4,9 anni mentre per il primo consulto medico è di 8,3 anni. In generale, i genitori si dicono… che il loro bambino è timido e che comunque passerà col tempo. Orbene, un bambino mutacico è molto spesso (quasi sempre) un bambino timido (Black & Uhde, 1992; Dow et al., 1995; Steinhausen et Juzi, 1996; Wright et al., 1995), mentre non è mai il contrario: la grande maggioranza di bambini timidi parla agli adulti che non fanno parte della loro cerchia famigliare, anche se parla poco o soltanto dopo un certo periodo di adattamento. Il Mutismo Selettivo è un problema specifico che necessita di un approccio adeguato e intervenire per tempo o appena si rivela il disturbo, può favorire una riuscita nel trattamento.
5. Ci sono agevolazioni per le famiglie che si trovano ad affrontare queste difficoltà?
Può essere utile sapere che, per le famiglie che si trovano ad affrontare le difficoltà legate alla gestione del Mutismo Selettivo e al suo trattamento, esistono delle agevolazioni o delle opportunità a tutela dei bambini affetti da questo disturbo, previste dalla normativa di legge. Un importante riferimento legislativo è la Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, che prevede:
INSEGNANTE DI SOSTEGNO
È un docente specializzato nell’assistenza e formazione di alunni diversamente abili o appartenenti a categorie di disagio sociale, culturale o familiare. Gli insegnanti di sostegno dovrebbero di norma essere presenti nelle scuole di ogni ordinamento scolastico in Italia. Spesso, a seguito di carenza di insegnanti di sostegno specializzati, il posto viene ricoperto da insegnanti senza l’esperienza e la formazione necessaria.
La figura dell’insegnante di sostegno è nata come risorsa finalizzata ad attuare interventi di integrazione, assieme agli insegnanti curricolari.
Va sottolineato che non è indispensabile l’insegnante di sostegno per l’inserimento scolastico del bambino affetto da Mutismo Selettivo.
Inoltre, tale docente spesso cambia ogni anno, e quindi può ridurre considerevolmente la valenza positiva di un supporto, visto che non c’è modo di costruire col tempo un rapporto basato sulla fiducia, che dia modo di sviluppare una comunicazione verbale.
PERMESSI RETRIBUITI
La madre o il padre lavoratori ha diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa.
Un’altra opportunità è data dalla Certificazione d’Invalidità che può essere riconosciuta a questi bambini. Consiste nel riconoscimento di uno stato invalidante, in base al quale l’interessato può ottenere benefici economici e/o socio-sanitari previsti dalla legge.
I minori di 18 anni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, sono tra le categorie contemplate nella normativa di legge.
Tramite la certificazione d’invalidità, viene erogato al soggetto richiedente un assegno mensile.
Dal 1° gennaio 2010, la domanda si presenta via Internet, direttamente all’INPS.
6. Che differenza c’è tra psicologo e psicoterapeuta ?
Dal sito di Giorgio Nardone Nienteansia.it – http://www.nienteansia.it
LO PSICOLOGO
Lo psicologo è il laureato in psicologia che ha sostenuto e superato l’Esame di Stato che permette l’iscrizione all’Ordine degli psicologi. Per poter sostenere tale esame egli deve obbligatoriamente svolgere un tirocinio formativo della durata di un anno, nel quale fa esperienza nel campo della psicologia. Gli psicologi non sono tutti uguali, in quanto esistono all’interno delle università indirizzi formativi diversi (per es: psicologia clinica e di comunità, psicologia del lavoro e delle organizzazioni, psicologia dello sviluppo e dell’educazione, psicologia generale e sperimentale), i quali forniscono competenze diverse. Dopo la laurea egli può decidere di frequentare corsi o master che forniscono competenze in ambiti specifici, per esempio nel campo dei disturbi d’ansia.
Lo psicologo fornisce ai suoi utenti un aiuto non farmacologico, basato su colloqui di sostegno, strumenti diagnostici, consulenze, tecniche di rilassamento ecc. Sono molte le cose che egli può fare, purché non si configurino come terapia, poiché essa richiede il titolo di psicoterapeuta. Inoltre lo psicologo non può prescrivere farmaci, dal momento che per fare questo serve una laurea in medicina. Se possiede una laurea in medicina oltre a quella in psicologia lo può fare. Quindi, riassumendo, per essere tale lo psicologo deve possedere i seguenti requisiti:
- laurea in psicologia;
- essere iscritto all’Ordine degli Psicologi di una regione italiana.
LO PSICOTERAPEUTA
Il percorso per divenire psicoterapeuta è duplice. Può partire dalla laurea in psicologia o da quella in medicina, conseguita la quale va intrapreso un corso di specializzazione riconosciuto dallo Stato Italiano della durata di almeno 4 anni. Dopo la laurea va superato l’Esame di Stato di psicologia esattamente come nel caso dello psicologo (Esame di Stato di Medicina nel caso del laureato in medicina). Dunque lo psicoterapeuta può essere sia medico che psicologo; nel caso che sia psicologo può esercitare tutte le attività dello psicologo e in più la psicoterapia, nel caso che sia medico può esercitare le attività del medico (fra cui la prescrizione di farmaci) e quelle dello psicoterapeuta. Lo psicologo psicoterapeuta non può prescrivere farmaci. L’attività dello psicoterapeuta va quindi più in profondità rispetto a quella dello psicologo, e permette di agire direttamente sui disagi della persona attraverso l’utilizzo di tecniche che variano a seconda della teoria di riferimento del professionista stesso.
Le scuole di specializzazione che permettono l’iscrizione all’albo degli psicoterapeuti sono molte e molto diverse fra loro. Ognuna di esse trae origine da un quadro teorico differente, non necessariamente incompatibile con gli altri, tant’è che spesso gli psicoterapeuti fanno uso contemporaneamente di tecniche provenienti da teorie di fondo diverse. Tra le scuole di specializzazione più frequentate abbiamo, per esempio, quella ad indirizzo cognitivo-comportamentista, quella sistemica familiare e quella psicanalitica. Alcuni tra gli approcci terapici più efficaci contro i disturbi d’ansia vengono descritti nella sezione “psicoterapie”. Per concludere, lo psicoterapeuta, per essere tale, deve possedere i seguenti requisiti:
- laurea in psicologia o in medicina e chirurgia;
- essere iscritto all’Ordine degli Psicologi di una regione italiana;
- aver frequentato una scuola di specializzazione riconosciuta dallo Stato che permette l’iscrizione all’Albo degli Psicoterapeuti.
LO PSICANALISTA
Lo psicanalista è uno psicoterapeuta che si ispira alla psicanalisi di Freud e dei suoi successori. Dopo Sigmund Freud infatti, sono nate diverse correnti dal suo pensiero originale, definite post-freudiane; tra queste la scuola Junghiana da Gustav Jung e quella Adleriana da Alfred Adler. Esse prendono origine dalle teorie proposte da Freud, attribuendo però un peso differente alle diverse componenti della teoria dello sviluppo psicosessuale originale, introducendo anche elementi nuovi non considerati da Freud. Lo psicanalista, per diventare tale, deve necessariamente sottoporsi in prima persona ad un’analisi personale che può avere una durata variabile (in genere qualche anno) con il fine di risolvere eventuali conflitti personali irrisolti e di acquisire maggiori competenze professionali. Le qualifiche necessarie per ottenere il titolo di psicanalista sono:
- laurea in medicina o laurea in psicologia;
- iscrizione all’Ordine dei Medici o a quello degli Psicologi;
- frequentazione di una scuola di formazione in psicoanalisi.
LO PSICHIATRA
Lo psichiatra è un laureato in medicina che ha intrapreso successivamente la specializzazione in psichiatria. Lo psichiatra non è psicologo, a meno che non abbia conseguito il relativo titolo; egli può tuttavia esercitare la psicoterapia. La differenza sostanziale tra psicologo/psicoterapeuta e psichiatra risiede nel modo di vedere la persona e nell’approccio utilizzato; mentre i primi due guardano la persona nel suo insieme, evitando di concentrarsi solo sul disturbo, lo psichiatra utilizza un metodo che può essere definito di diagnosi/cura. In sostanza egli focalizza la sua attenzione sul problema cercando di risolvere solo quello, esattamente come fa il medico.
Egli cura i disturbi psichici e le malattie mentali attraverso l’utilizzo dei metodi propri della psichiatria, che comprendono spesso l’utilizzo di farmaci. Avviene di sovente che sia lo psicologo/psicoterapeuta che lo psichiatra forniscano contemporaneamente il loro supporto ad una stessa persona, ottenendo un risultato migliore di quello che verrebbe raggiunto attraverso l’utilizzo esclusivo di uno dei due approcci. Per divenire tale lo psichiatra deve:
- possedere una laurea in medicina;
- aver superato l’esame di ammissione all’Ordine dei Medici;
- essersi successivamente specializzato in psichiatria.