I genitori dei bambini con mutismo selettivo sono più introversi? di Fulvia Marongiu

I genitori dei bambini con mutismo selettivo sono più introversi? di Fulvia Marongiu

Questo è un quesito che si è posto la dottoressa Marongiu, nell’ambito di una ricerca condotta dal dipartimento di Psicologia di Cagliari, dalla dottoressa Stefania Cataudella, che fa parte di un più ampio programma di intervento che è stato realizzato in collaborazione tra l’Università “La Sapienza” di Roma e l’Istituto di Puericultura del Policlinico Umberto I di Roma (Cecchini M, Cataudella S, et al, 2001).

Lo studio ha visto coinvolti un gruppo di 11 neonati, tutti primogeniti, nati con peso minore di 2500 gr e maggiore di 1500 gr, senza complicazioni neurologiche e polmonari, ed i rispettivi genitori appartenenti ad un livello socio-economico medio-basso. I nati prematuri, la primogenitura ed infine l’appartenenza ad un livello socio-economico medio-basso sono considerati dalla ricerca scientifica fattori di rischio per la costruzione di un legame di attaccamento sicuro.

Cos’è un attaccamento sicuro? E’ un legame stabile e duraturo che consente al bambino di sviluppare una base sicura, quindi la consapevolezza di trovare supporto nelle figure di accudimento primarie, ad esempio i genitori.

L’obiettivo della tesi è quello di individuare specifiche parole nelle precoci relazioni genitori-neonato, e valutare la loro interazione con la madre mostrato a 12-18 mesi. Lo stile di attaccamento dei bambini nei confronti dei genitori, oggetto della tesi, si riconduce agli studi di John Bowlby ( Bowlby J., (1989) Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Cortina, Milano) e Mary Ainsworth ( Ainsworth M., Blehar M., Waters E., Wall S., (1978). Patterns of Attachment. Hillsdale, Erlbaum, New York). Nel lavoro è preso in considerazione lo stile di attaccamento sicuro, insicuro o “probabilmente insicuro” (evitante o ambivalente).

Nello stile sicuro il bambino si lascia consolare al rientro del genitore dopo una visita di un estraneo; nello stile insicuro evitante, il bambino è indifferente e non si lascia avvicinare dai genitori; nello stile insicuro ambivalente il bambino, al rientro del genitore, se ne va e poi ritorna e risulta inconsolabile.

Ci interessiamo dei bambini in età preverbale, in particolare delle caratteristiche del neonato prematuro. Un bambino che nasce prima delle 37 settimane d’età gestazionale, prima di aver raggiunto una completa maturità, ed è quindi chiamato prematuro.

In genere possiamo affermare che le condizioni iniziali del pretermine o prematuro (tra cui frequente stato di sonno, scarsa attenzione visiva, mancanza di coordinazione motoria ecc.) rendono difficoltoso il suo adattarsi all’ambiente e la possibilità di stabilire relazioni precoci con gli adulti. In particolare la situazione di quei bambini che nascono prima della trentaduesima settimana di gestazione e con un peso non adeguato, soprattutto se vittime di complicazioni (ad esempio, difficoltà respiratorie, emorragia intra-ventricolari, ritardi di crescita ecc.). Molti studi, hanno ritrovato che i bambini prematuri al confronto coi loro coetanei nati a termine, mostrano ritardi di linguaggio, di integrazione tra sistema visivo e motorio e nello sviluppo cognitivo, che possono persistere fino ai 10 anni di età (Smendler e altri, 1992).

Questi stessi bambini non sono pronti a ricevere e rispondere alle stimolazioni sociali, ma sono sicuramente più difficili da condurre ad uno stato di recettività e contemporaneamente più facili da sovrastimolare e stressare; inoltre i loro comportamenti risultano spesso ambigui e disorganizzati e, quindi, scarsamente comprensibili per gli adulti.

I testi degli incontri tra padre, madre e bambino sono stati stampati e letti accuratamente, al fine di individuare le parole più importanti e ricorrenti, ad esempio l’uso nel “nome”, cioè tutte le volte in cui la madre ed il padre nominano il bambino. L’uso dei “pronomi”, cioè le volte in cui madre e padre usano la prima persona plurale per parlare di se stessi insieme al bambino, come ad esempio: “che sonno che abbiamo noi”, oppure la seconda persona singolare, come ad esempio: “senti papà”, o “tu dormi sempre”. L’utilizzo dei genitori di termini che si riferiscono ai bisogni fisiologici del bambino, come ad esempio: “mangiare”, “ciucciare”, “avere fame”, “dormire”, “addormentarsi”, “svegliarsi”, e “avere freddo o caldo”. Inoltre l’uso da parte dei genitori di termini che esprimono bisogni psicologici del bambino, come ad esempio di contatto tattile, usando espressioni del tipo “accarezzare”, “toccare”, “coccolare” e “stringere”, o al suo bisogno di relazione, usando espressioni del tipo “sorridere”, “piangere”,  “tirare fuori la lingua” e “emettere i vocalizzi”. Infine la componente emotiva, cioè le volte che i genitori si riferiscono al bambino facendo riferimento alle 6 emozioni riconosciute come le fondamentali: felicità, sorpresa, disgusto, paura, rabbia e tristezza. Le prime due (felicità e sorpresa) esprimono piacere, quindi i genitori si rivolgono al bambino con termini come: “sono contenta”, “mi fa ridere”, “mi sorprende” o vezzeggiativi o nomignoli, usando parole del tipo: “amore”, “tesoro”, “dolce”, “lupacchiotto”, “cucciola” e così via. Le altre 4 emozioni (disgusto, paura, rabbia e tristezza) si riferiscono alle espressioni in cui la madre ed il padre esplicitano emozioni spiacevoli riguardo a se stessi e al proprio stato d’animo, con frasi del tipo: “sono preoccupata/o”, “sono imbranata/o”, “ho paura”, “mi incavolo”.

Nel prendere in considerazione le coppie genitoriali dei bambini sicuri, insicuri e “probabili insicuri” emerge che ci sono degli specifici termini nelle precoci interazioni genitori-neonato, che caratterizzano ciascuno di questi gruppi. Nel confrontare le coppie genitoriali dei bambini sicuri e le coppie genitoriali dei bambini insicuri e di quelli “probabili insicuri” emerge come le prime usino maggiormente il nome per rivolgersi al bambino, i pronomi “tu” e “noi” nel parlare col bambino, l’uso di termini sui bisogni fisiologici e psicologici piacevoli, rispetto alle coppie dei bambini insicuri e anche dei bambini “probabili insicuri”. Questi dati permettono così di definire il tipo di idea che i genitori si stanno immaginando in relazione al bambino.

I genitori dei bambini sicuri mostrano una tendenza a immaginare il neonato come un altro diverso da sé, in possesso di una sua specifica identità, e non come un’estensione del proprio sé. Inoltre i genitori dei bambini sicuri mostrano una tendenza a desiderare la relazione col proprio bambino, e ad entrare maggiormente in relazione con lui, come una persona capace di entrare in relazione con loro, e di desiderarne il contatto. Il bambino desiderato dai genitori acquisirà un sentimento di autostima e di amabilità. Il bambino a cui i genitori si rivolgono in modo coerente ai suoi bisogni, svilupperà una buona capacità di autocoscienza e una buona capacità narrativa dei propri stati interni e delle esperienze vissute.

Avendo verificato l’uso del linguaggio nei bambini in età preverbale (soprattutto nei prematuri), ho compreso che nei bambini pretermine insicuri lo sviluppo del linguaggio è più tardivo e meno rassicurante che nei confronti dei bambini sicuri. Inoltre c’è meno capacità di trasmettere fiducia al nuovo nato e così via.

Ho correlato l’ansia che scaturisce nel bambino con “mutismo selettivo”, cioè colui che non parla in determinate circostanze e con determinate persone, spesso a lui estranee, con l’insicurezza che caratterizza lo stile di attaccamento insicuro.

Molti bambini con mutismo selettivo sono così ansiosi e impauriti che letteralmente non riescono a rispondere se si tenta di comunicare con loro, ovviamente non è una disfunzione organica.

In conclusione si evince che, come i genitori dei bambini insicuri, anche i genitori dei bambini con mutismo selettivo si mostrano più introversi rispetto agli estranei influenzando il modo del bambino di relazionarsi al mondo esterno e alla rappresentazione di sé rispetto alla propria identità, cioè al definirsi “altro” rispetto al genitore.

Fulvia Marongiu, Psicologa